SCENARI
La città ha bisogno di nuovi sguardi. Di sguardi che si soffermino; che indugino a coglierne le atmosfere, affinché i sensi e lo spirito vi si immergano. Penso che occorra riappropriarsi del desiderio di osservare gli “ambienti” urbani in cui si è sedimentata la storia, di capirne l’essenza ed apprezzarne la bellezza, mai stancamente ripetitiva.
La fotografia di paesaggio può esprimere molto bene questa inclinazione a indagare, a cercare sensazioni e significati, ma anche a riflettere sulla città; peraltro proseguendo un’antica vocazione delle arti figurative. Può proporre quindi la condivisione di una forma di stupore nel guardare e di una forma di consapevolezza, che si rinnovano nel tempo senza esaurirsi.
La mia scelta di un oggetto di indagine fotografica quale appunto il paesaggio urbano dei centri storici ha una radice intima, quella dell’appartenenza. Ma non solo: le architetture e gli altri manufatti dei centri storici per me sono infatti le irripetibili e ancora sorprendenti espressioni di una specifica concezione del vivere sociale e, per questo, contesti di alto pregio paesaggistico ed umanistico. Ho ben ferma la convinzione per cui un mattone, un muro o una ringhiera, in questo ambiente, trasudano un significato di concrezione storica e di sedimentazione identitaria che non ritrovo allorché oltrepasso le mura di cinta. Su questa base, nel definire inizialmente il progetto, ho avuto la percezione che ritornare a fotografare la città antica potesse darmi un’attraente opportunità creativa ed espressiva, ancorata ma anche svincolata dalla semplice testimonianza di appartenenza. Un’esplorazione che quindi riguarda ciò che potrebbe essere considerato scontato, già visto, poiché vicino e conosciuto ripetutamente; ma che raccoglie la sfida di andare in qualche modo oltre, seppure grazie e attraverso i codici espressivi classici della fotografia.
Quale tipo di paesaggio propongo? È, ovviamente, una domanda che mi sono posto molte volte. Per dirla nei termini dei pittori, si tratta di vedute e di scorci. La mia attenzione, tuttavia, non si rivolge alla bellezza dei luoghi, ma al rapporto tra spazio e luce, o meglio tra visione e illuminazione, alla combinazione sempre mutevole tra i luoghi e il momento di luce che li anima. In questo senso, nelle mie fotografie ritraggo gli scenari in cui si muove quell’attore protagonista che è, appunto, la luce. Le persone che attraversano tali scenari sono importanti ma non determinanti. Devo ammettere che le figure umane vengono a contribuire notevolmente alla percezione dell’insieme; ma non sono un oggetto di interesse primario. Sono, di sovente, dei timidi “fantasmini” che propongono con discrezione, quasi invisibili, la loro presenza.
Del resto i centri storici debbono sopportare minacce e aggressioni tipiche dei modi di vita contemporanei, tra cui il traffico automobilistico, il frequente sovraffollamento degli spazi, lo sciamare di gruppi che li attraversano insulsamente. Nelle mie immagini voglio proteggere gli spazi da questa contaminazione, concedendo la comparsa alle presenze non invadenti, a quelle che mostrano armonia di rapporto con i luoghi.
Sono interessato al protagonismo della luce. La luce ha sempre una diversa configurazione, grazie alla sua direzione, alla sua intensità e al suo colore. L’immagine deve quindi cogliere e rappresentare il modo peculiare in cui la luce si incontra con le forme fisiche, oggetti o persone che siano.
Seguendo questa prospettiva, gran parte delle fotografie, e specialmente gli “scorci”, cercano di interpretare quelle particolari condizioni di illuminazione che sono date dai “confini dell’ombra”, cioè dal connubio tra le ombre e ciò che loro stesse delimitano e quindi rivelano. Le ombre e la loro forma consentono di capire la provenienza, l’inclinazione, l’intensità e soprattutto il movimento della luce.